La corazza formata da anelli di ferro intrecciati tra loro a formare un “tessuto” metallico, è una delle protezioni più utilizzate nel corso della storia.
Introduzione
L’invenzione della cotta di maglia non può essere attribuibile con sicurezza ad una specifica cultura o periodo, in quanto in base agli elementi che ci sono pervenuti non è facile stabilirne la sua provenienza; c’è chi dice essere attribuibile ai celti, secondo quanto scritto da Varrone nel “De Lingua Latina”, che scrive: “Lorica, quod e loris de corio crudo pectoralia faciebant; postea subcidit gallica e ferro sub id vocabulum, ex anulis ferrea tunica.” (che tradotto significa circa: “Lorica, un tempo indicava la protezione sul petto in cuoio, mentre oggi indica la protezione in anelli di ferro di origine gallica.”).
Uno dei ritrovamenti più antichi pare sia avvenuto a Hjortspring, in Danimarca, nel IV sec. a.C., nella famosa nave di Hjortspring, che oltre a contenere frammenti di maglia in ferro trasportava anche un grande numero di armi tra cui lance, spade, elmi e scudi.
Attorno al III a.C. sembra fare la sua prima comparsa nell’Europa centrale: il fatto che uno dei primi ritrovamenti (in ferro) fu proprio in una necropoli gallica, che si suppone fosse stata in uso dal 230 al 130 a.C. circa a Ciumesti, in Romania, forse non lascia alcun dubbio che furono proprio i galli ad introdurla in Europa.
Frammenti in bronzo sono stati ritrovati a Leiden, in Olanda, assemblati con struttura 1-4 con 4 anelli forgiati già chiusi e uno centrale forgiato aperto quindi chiuso successivamente una volta assemblato assieme agli altri 4.
Nonostante la cotta di maglia sia stata una delle protezioni più utilizzata nella storia militare mondiale (prima dell’avvento delle armi da fuoco), si conosce pochissimo circa i suoi fabbricatori e le tecniche costruttive che utilizzavano.
Innanzitutto è importante considerare che, al contrario di molte altre tipologie di armature, la cotta di maglia può adattarsi a corporature differenti (mentre le armature di piastre, ad esempio, devono essere realizzate su misura) quindi è plausibile pensare ad un passaggio attraverso molte generazioni di quest’ultima, probabilmente soggetta a modifiche e riadattamenti continui, che oltre a garantirne una corretta manutenzione permettevano di personalizzare l’armatura alle proprie esigenze. Alcuni studiosi hanno individuato un maggiore consumo degli anelli nelle parti ascellari e sulle spalle, secondo loro proprio dovuto al maggiore frizionamento anello contro anello causato dall’utilizzo nel corso di centinaia di anni; anche la presunta presenza si “macchie” più nuove, ovvero di parti ben distinte della maglia composte da anelli dall’aspetto più recente, sarebbero la prova degli interventi di riparazione anche molto distanti nel tempo tra loro.
Un altro fattore importante da tenere in considerazione è l’elevato costo di fabbricazione della stessa, che quindi favoriva questo passaggio di mano.
Riguardo al procedimento costruttivo poco si sa, tuttavia è lecito pensare che la tecnica sia la stessa utilizzata nel medioevo, in quanto in molti casi si riscontra il perdurare di queste tecniche anche per molti millenni, con variazioni minime. Inoltre senza la possibilità di firmare col proprio marchio le cotte di maglia (per ovvi motivi di mancanza di una superficie adeguata), non sono pervenuti neanche i segni di riconoscimento dei loro costruttori dai quali poter trarre spunto per catalogare o datare con maggiore precisione i ritrovamenti (come viene fatto, ad esempio, per pezzi di artiglieria, armature medievali o spade).
Si pensa che presso le popolazioni celtiche fu appannaggio solamente dei privilegiati che possedevano una tale ricchezza da potersi permettere di pagare la materia prima e il lungo lavoro necessario per realizzarla: le poche testimonianze, oltre i rari ritrovamenti giunti fino a noi, fanno pensare che sia stato un oggetto scarsamente diffuso fino alla fine del III sec a.C., quando l’impero romano, che nel settore bellico stava vivendo delle importanti riorganizzazioni, iniziò ad adottarla su grande scala, probabilmente dopo esserne venuti a conoscenza in qualche battaglia contro tribù galliche. La macchina industriale romana iniziò a produrne centinaia di esemplari introducendo questa protezione sui campi di battaglia in maniera molto più massiccia di quanto fosse stato mai fatto prima d’ora, chiamandola col termine di lorica hamata.
A questo proposito Polibio ci parla della lorica hamata come di una protezione accessibile solamente a coloro che avevano un reddito abbastanza elevato da potersela permettere, in sostituzione di altre protezioni di “categoria inferiore”.
La sua efficacia è testimoniata dal grande uso che l’uomo ne fece per combattere le battaglie, arrivando ad estenderne la superficie non più solamente al busto ma a tutto il corpo. Con l’avvento delle armi da fuoco la cotta di maglia venne presto abbandonata, rimanendo in uso solamente presso pochissimi corpi militari come gli ussari polacchi fino al XVII sec. o le truppe afghane del secolo scorso.
I primi fabbri dell’età del ferro che si misero alla realizzazione di una cotta di maglia, si trovarono senz’altro di fronte ad un lavoro molto difficile ed impegnativo, che necessitava di tutta la loro maestria e di mesi di lungo lavoro. Tuttavia considerando la grande diffusione che ebbe nei secoli a venire, è plausibile pensare che già qualche secolo dopo sua comparsa in Europa potessero esistere delle officine specializzate nelle quali il lavoro era distribuito tra i vari artigiani, con conseguente ottimizzazione dei tempi e garanzia di una buona qualità.
Analisi dei reperti e ipotesi di costruzione
Sei anelli in bronzo (da Leiden) privi di chiusura successiva (quindi realizzati già chiusi), sono stati analizzati al microscopio e sembrano essere stati “stampati” a partire da una lastra. Attraverso delle fustelle di diametro differente (a seconda del diametro dell’anello interno ed esterno e quindi dello ” spessore” che si vuole ottenere) si realizzavano gli anelli a partire da una lastra; altri anelli in ferro (da Caerleon) aventi le stesse caratteristiche sono stati anch’essi studiati al microscopio, quindi una serie di esperimenti hanno dimostrato che gli anelli di bronzo, ma anche di ferro, potevano essere realizzati mediante fustellatura (o tranciatura) quindi rifiniti su una matrice cilindrica per omogeneizzarne le caratteristiche ed eliminare le sbavature. L’insieme di anelli già chiusi così ottenuti (chiamati anelli “solidi”), erano assemblati con anelli aperti, che poi venivano chiusi successivamente mediante saldatura o rivettatura. Questa metodologia non solo permetteva di risparmiare tempo durante la fase di assemblaggio, ma probabilmente anche durante la fase di creazione degli anelli stessi.
Tuttavia altri studi a riguardo hanno offerto nuovi spunti di riflessione, dimostrando in base ad analisi compiute l’impossibilità che gli anelli potessero essere realizzati già chiusi (quindi stampati da una lamiera); secondo il Dr. Stephen V. Granscay, curatore di armi e armature del Metropolitan Museum of Art di New York, questi anelli sarebbero stati realizzati a partire da un filo quindi saldati tra loro per ottenere una chiusura omogenea, priva di alcun tipo di ribattino.
Riguardo alla realizzazione del filo, supponendo di partire da un lingotto o da una barra semilavorata di ferro, la prima operazione da fare consisteva nella modellazione a caldo del metallo per realizzarne appunto un filo che, ancora troppo grande per poter essere utilizzato, veniva fatto passare attraverso una trafila, ovvero attraverso una serie di buchi realizzati in una tavoletta di acciaio, progressivamente sempre più piccoli. La qualità del metallo si suppone dovesse essere alta dato che può omogenea era la struttura (e quindi priva di scorie), minore era la possibilità di rottura.
La testimonianza più antica dell’utilizzo di questo metodo risale al ritrovamento di qualche trafila di epoca romana, ad esempio a Vindolanda (Inghilterra) e Altena (Germania). Una caratteristica comune di queste due trafile, considerate tra le più antiche in ferro mai trovate, è la dimensione dei fori: con un diametro variabile dai 2 mm ai 10 mm, questi sembrano essere troppo grandi per poter permettere di trafilare, infatti si pensa che oltre i 2 mm sia molto difficile farlo a causa della grande forza che si dovrebbe applicare.
In realtà vi è un ulteriore ritrovamento “emblematico” di quella che può sembrare una trafila, presso Isleham, nel Cambridgeshire, Inghilterra, datata tarda età del bronzo; tuttavia data l’irregolarità dei buchi e la loro grande differenza di diametro, è lecito dubitare che potesse essere proprio una trafila.
Però questo metodo è successivamente testimoniato nel IX e del X sec, grazie al fortunato ritrovamento di Morgedal, in Norvegia, dove un intero baule, probabilmente appartenuto ad un fabbro vichingo, si è conservato straordinariamente bene ed ha restituito un grande numero di attrezzi, armi e utensili vari, tra cui due trafile, a testimonianza del perdurare di questa tecnica per centinaia di anni dopo le prime scoperte di trafile.
Oggetti vari ed in particolare trafile ritrovate a Morgedal, Norvegia, IX-X sec. d.C. [fonte delle foto: internet] |
Al susseguirsi dei secoli l’utilizzo di trafile non è cambiato e persino ai giorni d’oggi è possibile acquistarne in negozi specializzati su articoli per oreficeria.
Secondo alcuni studiosi, anelli in ferro e bronzo analizzati presenterebbero una superficie “segnata” da righe provocate dal passaggio del filo attraverso appunto una trafila. A titolo di esempio, nelle foto sottostanti vi sono un collare realizzato con fili d’oro e una sua microfotografia, la quale mostra chiaramente le linee superficiali discusse precedentemente.
Collare romano-egizio in oro con segni di lavorazione a trafila. |
Tornando al filo di ferro di cui sopra, ancora di diametro troppo elevato, con l’ausilio di pinze o di verricelli di legno, veniva tirato attraverso i fori della trafila che ne omogeneizzavano la superficie e provvedeva a ridurne progressivamente il diametro fino ad ottenere la misura desiderata. A questo punto il filo veniva probabilmente avvolto attorno ad una barra tonda (detto mandrino), dello stesso diametro di cui si desideravano gli anelli, a formare una molla, quindi con l’ausilio di uno scalpello veniva tagliata longitudinalmente, separando tutti gli anelli. I due capi di ogni anellino venivano accostati e uniti tra di loro mediante saldatura o con l’ausilio di un piccolo perno (rivetto), facendo in modo che ogni anello fosse “legato” ad altri 4 adiacenti, formando un “tessuto” a trama ben precisa, modellato per essere indossabile.
L’elevato costo in termini di materie prime e mano d’opera, rende facile ipotizzare che ogni singola cotta di maglia potesse essere tramandata di padre in figlio, quindi riusata per intere generazioni o fino a che non venisse perduta, ad esempio nel caso di morte in battaglia. In questa eventualità essa passava al nemico come trofeo o come bottino di guerra.
Anche se non direttamente collegata alla fabbricazione di cotte di maglia, è interessante considerare un’altra tecnica per la realizzazione di fili: la torsione a spirale.
Questa tecnica, utilizzata principalmente su metalli preziosi non ferrosi (oro, ad esempio) consiste nel ritagliare da una lamina una sottile striscia di metallo, arrotolandola quindi su se stessa fino a formare una spirale molto stretta, che una volta rifinita superficialmente diviene a sezione tonda (vedi foto sotto).
Realizzazione di un filo da un quadrato o da un piatto, secondo la tecnica dell’avvolgimento a spirale su se stesso. |
Catena in oro romana da New Grange, Irlanda, realizzata con la tecnica precedentemente discussa.
Microfotografia della precedente catena, si possono vedere chiaramente le fessure degli avvolgimenti.
Altro esempio di filo realizzato con la tecnica sopra descritta, da una catena in oro di un collare partico del I-II sec. d.C.
La lorica hamata
Questo tipo di protezione, formata da un intreccio di anelli di ferro (hami = ganci, anelli), costituiva un’ottima difesa sia dai colpi di taglio che da quelli di punta, e garantiva nel contempo una grande mobilità, a discapito del peso (fino a 10 kg e oltre). Molte raffigurazioni mostrano la lorica hamata composta non solo dalla semplice maglia ad anelli, ma da un ulteriore elemento, chiamatohumeralis, ovvero un ulteriore strato che, secondo Connelly, aumentava la protezione sulle spalle laddove, in una formazione falangitica serrata (quale era quella romana), la maggior parte dei colpi più pericolosi provenivano proprio dall’alto andando a colpire le spalle, la parte superiore della schiena e la testa.
Connelly individua due tipologie di humeralis: il primo con forma e sistema di fissaggio paragonabili ai thorax greci, quindi composto da due spalline unite alla maglia posteriormente e fissate anteriormente con due ganci, il secondo composto da una specie di corto mantello drappeggiato anteriormente, che copriva la parte superiore delle spalle; si ritiene che il primo “stile” fosse di origine greca mentre il secondo di origine celtica.
Una ulteriore ipotesi è quella per la quale la corazza ad anelli, una volta introdotta in Europa dai celti, fosse stata modificata dai romani per adattarsi anche a mode “locali”, dettate appunto dalla presenza di humeralis nei thorax greci; l’humeralis sarebbe quindi stato modificato dal modello “celtico” a quello “greco”.
Sulla robustezza del tessuto di maglia in ferro si è dibattuto enormemente e al giorno d’oggi numerossisimi sono stati gli esperimenti condotti sulla sua resistenza (soprattutto contro le frecce), sia da studiosi ed organizzazioni autorevoli che non. Nell’immaginario comune si tende a considerare poco efficace una protezione in maglia ad anelli soprattutto contro i dardi, specialmente con punte di una certa fisionomia; in realtà alcuni esperimenti e delle fonti scritte hanno talvolta dimostrato il contrario, smontando molte delle sperimentazioni e delle ipotesi avanzate in questo senso. La maggior parte di questi esperimenti, infatti, vengono effettuati senza considerare molti fattori importanti, i quali modificano sensibilmente il risultato finale a favore della lorica hamata.
Alcuni degli errori comuni sono, ad esempio, l’utilizzo di una maglia non rivettata, contrariamente ai ritrovamenti che vogliono tutti (o quasi) i frammenti di maglia composti da anelli rivettati e solidi (realizzati per fustellatura o saldatura); talvolta invece non sono stati rispettati gli spessori originali, la qualità del metallo o il diametro degli anelli, quindi le maglie “campione” risultavano di qualità inferiore e con trama molto meno fitta degli originali.
Anche l’assenza, nelle sperimentazioni, di una protezione imbottita (subarmalis), che veniva a formare assieme alla maglia ad anelli di ferro una struttura molto più resistente, le cui numerose testimonianze vanno ben oltre il periodo antico, è stata per molti motivo di errore nelle sperimentazioni.
Anche alcune fonti storiche raccontano di vittorie e gloriose resistenze della maglia ad anelli in ferro (coadiuvata ad una buona imbottitura interna) contro frecce (nota dell’autore: ho cercato traduzioni che siano le più corrette possibili, al meglio delle mie capacità):
– Colmariense Chronicon (1398): […]camisiam ferream, ex circulis ferreis contextam, per quae nulla sagitta arcus poterat hominem vulnerare[…] che tradotto significa (gli uomini d’arme portavano) “… una camicia di ferro, tessuta da anelli di ferro, attraverso la quale nessuna freccia sparata da un arco poteva provocare lesioni”.
– Chronicle of Lanercost (1272-1346): nella battaglia di Byland (1322), Scrymgeour, il porta stendardo di Robert the Bruce, estrasse una freccia di longbow dal braccio illeso grazie all’usbergo di maglia (che indossava).
– The Alexiad (1148 circa): a proposito della battaglia di Duazzo (1108), l’autrice racconta che “i Bizantini ricorsero al tiro di frecce contro i cavalli dei Franchi, perchè contro le armature in maglia ad anelli di ferro dei soldati erano inefficaci”.
Evidenze storiche
Le fonti che testimoniano l’uso e le caratteristiche della loriche hamata sono molteplici, alcune tra le più autorevoli di queste sono citate qui sotto:
Guerriero di Vacheres, I sec. a.C. [fonte della foto: internet]
Ara di Domizio Enobarbo, 113 a.C. [fonte della foto: internet]
Altare di Pergamo, II sec. a.C. [fonte della foto: internet]
Arco di Orange, I sec. a.C. [fonte della foto: www.archart.it]
St. Albans, Gran Bretagna, 55 d.C. circa. [fonte della foto: internet]
Kirkburn, Yorkshire, Gran Bretagna, III-II sec. a.C. [fonte della foto: internet]
Ciumesti, Romania, III sec. a.C.
Quasi tutti i ritrovamenti di frammenti di maglia ad anelli o fili metallici sono elencati nella tabella qui sotto:
Austria | Carnuntum | R |
Bulgaria | Jankovo | F |
ex Ceco-slovacchia | Horny’ Jatov | F |
Zemplìn | F | |
Danimarca | Barsbø | R |
Brokaer | R | |
Hjortspring | F | |
Neder-Jerstal | R | |
Vimose | R | |
Francia | Aubagnan | F |
Boe | F/R | |
Chassenard | R | |
Lyon | R | |
Strasburg | R | |
Germania | Berlitt | R |
Bockhorn | R | |
Camin | R | |
Dahlhausen | R | |
Cheine | R | |
Dessau- Grosskühnau |
R | |
Gross Gartz | R | |
Hagenow | R | |
Hemmoor- Warstade |
R | |
Issendorf | R | |
Kasseendorf | R | |
Kemnitz | R |
Kiel | R | |
Künzing | R | |
Mainz | R | |
Putensen | R | |
Saalburg | R | |
Sörup | R | |
Süderbrarup | R | |
Thorsberg | R | |
Weissenburg | R | |
Wasterwanna | R | |
Wollenrade | R | |
Zugmantel | R | |
Grecia | Somothrace | R |
Italia | Aquileia | R |
Pompei | R | |
Lussemburgo | Weiler-la- Tour |
R |
Olanda | Den Haag | R |
Fluitenberg | R | |
Ouddorp | R | |
Vechten | R | |
Zwammerdam | R | |
Polonia | Komoròw | R |
Mlodzikowo | R | |
Opatow | R | |
Witaszewice | R | |
Zadowice | R |
Romania | Cetăţeni | F |
Ciumesti | F | |
Poiana | F | |
Popesti | F | |
Răcătău | F | |
Radovanu | F | |
Svezia | Gränby | R |
Oeremölla | R | |
Svizzera | Tiefenau | R |
Inghilterra | Baginton | R |
Baldock | F | |
Caerleon | R | |
Carlingwark Lock |
R | |
Castleheaven, Kirkdbt |
R | |
Chesters | R | |
Colchester | R | |
Housesteads | R | |
Kirkburn | F | |
Lexden | F | |
Maiden Castle | F/R | |
Manchester | R | |
Newstead | R | |
St. Albans | R | |
Stanwick | F | |
Woodeaton | R |
legenda: R: periodo romano, F: età del ferro
[fonte dei dati della tabella: Journal of Roman Military Equipment Studies 4, 1993]
Conclusioni
L’articolo intende portare all’attenzione del lettore una serie di fonti iconografiche, nozioni scientifiche e sperimentali al fine di meglio delineare l’origine e la tecnica di costruzione, lo sviluppo, la diffusione e più in generale l’uso di quella che senza esagerazione è una protezione corporale tra le più funzionali e diffuse mai inventate dall’uomo nel corso dei secoli.
Dal IV-III secolo a.C fino all’avvento delle armi da fuoco (ma con rari esempi fino al XX sec), l’uomo se ne è servito, rielaborandone la forma, adattandola ai propri scopi militari e talvolta alle mode del periodo, pur preservandone la funzionalità e la tecnica di costruzione quasi inalterate.
Chiedo venia se talvolta qualche riferimento bibliografico non è correttamente inquadrato, delle traduzioni sono imprecise o vi sono errori di altro genere.
Fonti storiche
– Varrone, De Lingua Latina, libro V, 24, 2.
– Polibio, Storie, Libro VI, 23, 15.
– Anna Comnena, The Alexiad, XIII, 8.
– Sir Herbert Maxwell, The Chronicle of Lanercost.
Bibliografia
– Manuale di oreficeria e di lavorazione dei metalli, di Tim McCreight, pag 50.
– The Dacian Stones Speak, di Paul Lachlan MacKendrick, pag 52.
– The History and Evolution of Wiredrawing Techniques, di Brian D.Newbury and Michael R. Notis, pag 33.
– Armi e arte : un viaggio per musei, chiese e castelli alla ricerca di armi antiche, alla scoperta di cose belle, di Paolo Pinti.
– Fulgentibus armis: introduzione allo studio dei fregi d’armi antichi, diEugenio Polito.
– Examination of mail armor links from the Metropolitan Museum of Art, di J. R. Vilella.
– Folly Lane (Verulamium): The Mail Shirt by B. J. Gilmore.
– Scientific investigation of copies, fakes and forgeries, di Paul Craddock, pag 370, 376, 377, 379.
– Greece and Rome at War, di Peter Connolly.
– The Armourer and His Craft, di Charles John Ffoulkes.
Un articolo interessante scritto da Dan Howard, molto ben fatto e che consiglio di leggere (in inglese) è disponibile qui:http://www.myarmoury.com/feature_mail.html#mark74
Salve! Domanda. Gli usberghi di città di maglia nella seconda metà del 1300 potevano essere anneriti?
Ciao, ho avuto un problema tecnico e ho ricevuto notifica solo adesso di questo commento. Non saprei, se si parla di brunitura sicuramente da dei notevoli vantaggi rispetto alla resistenza all’ossidazione, negli articoli che ho potuto visionare non si faceva esplicito riferimento a questa procedura nelle maglie in ferro, tuttavia non è da escludere che tale prassi non potesse essere comunque praticata, sia nell’evo antico che nel medioevo.
Un saluto